In questo periodo di emergenza sanitaria la paura è uno dei sentimenti più presenti nei nostri discorsi e nella nostra vita. Siamo tutti molto preoccupati, di perdere la salute, di ammalarci o vedere ammalare i nostri cari, di potere morire, di perdere la sicurezza economica con la chiusura delle attività lavorative, di perdere la libertà di poterci muovere, di socializzare.
La paura è un sentimento che può atterrire, ma al contempo è il segnale che può salvarci la vita o farci evitare situazioni di ulteriore pericolo e danno per noi e per gli altri e per questo motivo è risorsa e strumento efficace per la sopravvivenza. Nel linguaggio comune per contrapposizione associamo alla paura la parola coraggio; ma ciò non significa che anche altre reazioni non conservino ed abbiamo la loro funzione di adattamento alla realtà . Ognuno di noi potrà avere bisogno di elaborare la paura in maniere differenti, così come avviene di fronte ad altri eventi che sono causa di dolore. Conosciamo i meccanismi di rimozione di ciò che ci fa soffrire e stare male, possiamo prendere tempo, ritirarci o attuare comportamenti regressivi. Possiamo fare finta che nulla ci stia minacciando o paralizzarci, in una sorta di riedizione dellâanimale in pericolo che con lâimmobilità non attrae lâattenzione dellâaggressore e meglio si mimetizza. Immaginiamo il comandante di un esercito che ordina una ritirata tattica dopo una prima sconfitta al fine di riorganizzare le fila, rivedere le strategie ed attendere i rinforzi. Fermarsi, accettare le perdite e curare le ferite aiuta a riprendere il governo della situazione. Possiamo anche reagire con rabbia, pur sapendo che la valenza aggressiva di questa reazione è finalizzata al distruggere i legami e ad eliminare gli ostacoli. Ciò che è inadatto non è tanto il tipo di reazione, fosse anche a una prima analisi negativa quanto il fatto che questa non perduri nel tempo, e appena possibile lasci spazio ad altri pensieri e azioni.
La paura dunque si lega alla percezione del pericolo, come una spia si attiva in conseguenza di un dato reale preciso, ben identificabile e che può farci soffrire. Ci costringe a modificare la nostra vita, le abitudini, i comportamenti e le consuetudini al fine di tutelarci, e in ultima analisi continuare a vivere. Tuttavia pur appoggiandosi al ragionamento ed allâesperienza il percorso della paura non è lineare e non è solo un processo cognitivo. Il protrarsi nel tempo della situazione di pericolo, non sapere quando cesserà o ancora non avere la consapevolezza del motivo reale che ci minaccia genera un senso di malessere psicologico, uno stato di ansia descrivibile come una tensione, una condizione di allarme, di agitazione più o meno percepita ma che si manifesta con sintomi che al contrario sono ben descrivibili. Lâinsonnia, una maggiore irritabilità , la mancanza di concentrazione ma anche altri sintomi più legati alle funzioni del nostro organismo, la tachicardia, le difficoltà digestive, le tensioni muscolari, le cefalee sono solo un esempio parziale di queste manifestazioni.
Al di là del suo portato di sofferenza anche lâansia è un segnale, un indicatore di qualcosa che nella maggior parte dei casi riguarda il funzionamento delle nostre dinamiche psichiche, qualcosa che sta accadendo, più che nel mondo esterno, nel nostro mondo interno. Tutto si lega al reale, ma ciò che questo reale rappresenta per ciascuno di noi anima un immaginario popolato di paure che non sempre riusciamo a identificare. La nostra realtà personale, fatta di esperienze, di vissuti e discorsi interni di cui siamo più o meno consapevoli diventa lo scenario in cui le nostre azioni si orienteranno allontanandoci o tenendoci vincolati alle situazioni di sofferenza. Lâansia come la paura ci invita a modificare qualcuno dei nostri modi di funzionare anche se lâinvito non è sempre raccolto. Lâindagine psicoanalitica ci indica come quello della ragione non sia lâunico discorso, e nemmeno il più importante. La voce della ragione mi indica di seguire una certa direzione ed allâultimo istante mi ritrovo a proseguire altrove. Chi ha parlato da essere ascoltato più della ragione?
Un percorso di analisi personale è una esperienza che può accompagnarci nella scoperta degli altri discorsi che guidano a nostra insaputa le nostre azioni ed i nostri pensieri. Freud (1915-1917) scriveva âma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dellâuomo è destinata a subirla da parte dellâodierna indagine psicologica, la quale ha lâintenzione di dimostrare allâIo che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psicheâ. Sempre Freud (1901) ci ha accompagnato alla scoperta di questa consapevolezza, che la nostra vita psichica è governata da processi inconsci che dobbiamo imparare a conoscere e che sottotraccia influenzano le nostre azioni e i nostri pensieri, come se i nostri discorsi fossero guidati da un altro parlare. Lâinconscio è portatore di un proprio discorso, di cui non siamo propriamente consapevoli ma ne vediamo costantemente gli effetti nelle dimenticanze, nei sogni, negli atti mancati, nelle situazioni che viviamo e che vorremmo evitare. Siamo abitati da discorsi che non conosciamo e in un certo senso siamo parlati da questi discorsi.
In questo periodo particolare la percezione di una minaccia invisibile e non identificabile che abita in noi trova facile sponda nelle caratteristiche dellâinfezione virale. Alcuni vissuti particolarmente intensi e specifici possono manifestarsi ed essere attivati dal diffondersi del Covid-19. Lâangoscia di contaminazione, del contatto piuttosto che lâangoscia di perdere la salute, di ammalarsi, di perdere i propri cari. Ma ancora il confronto doloroso con la perdita delle abitudini di vita, delle certezze che ci accompagnavano, economiche, sociali, lavorative. E lâinsorgere di questa dimensione di incertezza alimenta anche lâulteriore possibile angoscia del cambiamento, dellâincognita del nuovo che verrà .
LâEnciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007) definisce i virus come â⦠formazioni biologiche elementari, le più piccole e semplici strutture biologiche presenti in natura, alle quali manca qualsiasi organizzazione cellulare e qualsiasi meccanismo produttore di energia. â¦Essi sono costretti, per riprodursi, a vivere all'interno delle cellule: sono pertanto obbligati a comportarsi come parassiti intracellulariâ. Rybicki (1990) descrive i virus come organismi ai margini della vita, rappresentano una forma di vita ma non ne possiedono tutte le caratteristiche. Sono forme biologiche senza vita ma che possono iniziare a riprodursi insediandosi nelle cellule di altri organismi viventi. Raccontata così questa storia è certamente affascinante dal punto di vista scientifico ma suscita anche una certa inquietudine. Quando poi lâinfezione virale assume le dimensioni di una pandemia entra in gioco qualcosa che assomiglia allâincontro con il perturbante.
Lâinvito fatto dagli ordini degli psicologi e dalle varie associazioni a fornire, anche con il ricorso al mezzo telefonico ed alle videochiamate, un ascolto, una presenza ed un aiuto in questi mesi di isolamento sociale e confinamento significa avere colto e previsto questi rischi di disagio psichico ed emotivo, del possibile insorgere di uno stato di preoccupazione e di ansia più o meno persistente, di vissuti angosciosi intensi e profondi. Ogni persona, ciascuno con le proprie risorse personali è convocato a fare i conti con la medesima situazione, a fronteggiare sul versante esterno e interno a sé una realtà minacciosa non immediatamente identificabile.
Alcuni fenomeni sociali in questo particolare periodo rappresentano la realtà complessa di teorie, di spiegazioni, di modalità di reazioni e di atteggiamenti nei confronti della attuale emergenza sanitaria, e che trovano nei vari social e nei media una diffusa cassa di risonanza. Si legge in tante esternazioni il turbamento di fronte a qualcosa a cui nemmeno le certezze mediche e scientifiche riescono a dare risposte rassicuranti e univoche, in antitesi alla dominante cultura contemporanea del benessere e della soluzione tecnicistica per ogni bisogno pronta a fare sparire ogni dolore e lâidea della morte. Assistiamo ad una particolare attivazione sociale di pensieri generata dalla epidemia. Câè chi dichiara la propria preoccupazione ed usa i social come strumento condiviso per ricreare una socialità virtuale rassicurante e virtuosa; câè lâintensità del coro degli haters, dei complottisti, dei negazionisti, dei sostenitori dellâarrivo di una migliore era; ci sono le tante voci, a volte anche differenti tra loro, degli esperti, delle commissioni e delle organizzazioni scientifiche a cui le decisioni della politica e delle amministrazioni fanno riferimento. Possiamo pensare che al pensiero della morte, così presente nei giorni drammatici del lockdown, si sia accompagnato un universo social e mediatico estremamente vivo ed in cui, nellâassenza di riferimenti certi, il corrispondere ad una fazione piuttosto che allâaltra risponda a un bisogno di ritrovarsi di fronte allo spaesamento. Dâaltra parte il mondo scientifico con onestà ha dichiarato che ancora non sappiamo tutto di questo virus ed il lavoro di ricerca e di conoscenza può assumere nellâimmaginario la dimensione dellâincontro tra qualcosa di famigliare e di sconosciuto contemporaneamente. Ciò che è famigliare dovrebbe essere rassicurante, garanzia di assenza di pericolo, protettivo; ciò che è sconosciuto nel pensiero comune è da guardare con sospetto, ciò da cui prendere le distanze per mantenere tutto come è ed evitare il rischio del cambiamento. In questa compresenza del famigliare e dello sconosciuto il senso di turbamento che si coglie tra la gente assume una dimensione del tutto particolare che Freud (1919) aveva affrontato nel suo lavoro sul perturbante. Prima ancora di Freud il concetto di perturbante era stato esplorato dallo psichiatra tedesco Anton Jentsch (1906) che poneva lâattenzione sul senso di spaesamento di fronte a ciò che non è vivente ma appare animato, sullâincertezza intellettuale di fronte al dubbio se ciò che è evidentemente animato sia vivo davvero. Jentsch faceva lâesempio dei meccanismi animati, dei robot meccanici, forme inanimate che appaiono come vive, degli zombi, corpi senza vita che ritornano a vivere. Nel suo lavoro Freud (1919) recuperava il particolare significato della parola âfamiliareâ con una ricerca minuziosa delle definizioni del termine Unheimlich. à famigliare ciò che è tenuto in casa, segreto, nascosto e dunque il non famigliare è anche ciò che viene svelato, che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato. Ciò che assume il carattere di perturbante è dunque nello stesso tempo famigliare e non, è ciò che di famigliare era tenuto nascosto e ora viene svelato. Per Freud (1919) dunque il perturbante si manifesta quando appare ciò che era stato tenuto nascosto. Questa compresenza di significato si ripropone nellâesperienza più complessa della paura o del terrore, perché richiama al campo delle esperienze e dei vissuti rimossi, al mondo dei conflitti infantili sopiti e ora risvegliati, che erano affrontati e risolti con il ricorso ai meccanismi difensivi dellâapparato psichico primitivo e ancora poco sviluppato. Freud (1919) riconosce la presenza del perturbante nel doppio, nella superstizione, nel pensiero magico, categorie esperienziali dellâuomo che sfuggono alle spiegazioni immediate della logica ordinaria ma hanno una capacità di rimettere in movimento ciò che era stato rimosso, archiviato perché angosciante, scomodo, inopportuno, doloroso. Nel caso del doppio il sentimento narcisistico dellâimmortalità , della sopravvivenza a sé stessi in un altro corpo; nella superstizione e nel pensiero magico col riaffiorare alla coscienza la credenza infantile di forze superiori che governano le nostre azioni e il mondo. Per Freud (1919) âIl perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiareâ e ancora âlâanalisi dei casi in cui compare lâelemento perturbante ci ha ricondotti allâantica concezione del mondo propria dellâanimismo; tale concezione era caratterizzata dagli spiriti umani che popolavano il mondo, dalla sopravvalutazione narcisistica dei propri processi psichici, dallâonnipotenza dei pensieri e dalla tecnica della magia che su questa onnipotenza era costruita, dallâattribuzione di poteri magici accuratamente graduati a persone e cose estranee (mana), nonché da tutte le creazioni con le quali il narcisismo illimitato di quella fase dellâevoluzione si opponeva alle esigenze irrecusabili della realtà â. Ora facendo la dovuta tara agli aspetti tragici e reali della pandemia appare possibile ravvisare lâanalogia con certi movimenti di pensiero che leggiamo come risposte e reazioni alla presenza invisibile del virus. Laddove la realtà assume una valenza terrificante ed inspiegabile, dove il confine tra la fantasia e la realtà si sfuma sempre più ecco che ci troviamo esposti allâeffetto del perturbante, ed al richiamo in vita di complessi infantili rimossi o convinzioni primitive superate.
Dal punto di vista fisico il nostro organismo è dotato di sistemi di difesa e immunitari più o meno funzionanti ma comunque presenti, risorse che producono gli anticorpi necessari per eliminare lâinfezione e proteggere da infezioni future. Ma quali sono dal punto di vista psichico le risorse a cui lâuomo può attingere per evitare la colonizzazione di pensieri magici o primitivi, che riducono la realtà agli aspetti duali del male e del bene, del terrifico e del salvifico, facendo sparire ciò che è in mezzo, che è scarto, perdita, incertezza. In altri termini cosa impedisce di cogliere sia i limiti del pensiero magico sia quelli del pensiero logico, lasciando spazio ad una integrazione delle differenti istanze e in ultima analisi al processo di umanizzazione dellâesistenza?
Lâapparato psichico dellâuomo nei primi giorni di vita è fondato sulla polarità dolore e piacere, lo psichismo è ricondotto a questa primitiva dualità che in maniera imperiosa richiede la soddisfazione dei bisogni fisici emergenti, la riduzione immediata della tensione e del dolore. Occorre il soccorso di una relazione di accudimento e di contenimento che lentamente e progressivamente accompagni durante le prime fasi della vita e negli anni successivi allâaccettazione ad alla capacità di spostare nel tempo la soddisfazione dei bisogni, di tollerare lâassenza e la perdita senza che questa sia vissuta in maniera catastrofica. Il richiamo alla funzione genitoriale materna, o di chiunque simbolicamente svolga questa funzione, è individuabile come la prima risorsa dellâumano, i primi anticorpi capaci di fornire gli strumenti per fronteggiare il dolore, le paure e le continue frustrazioni della vita ed evitare che i vissuti traumatici si trasformino in sentimenti catastrofici e senza speranza. Tuttavia se si prolungano eccessivamente le carenze nelle relazioni di accudimento primarie il ricorso ai primitivi meccanismi di difesa dal dolore e dal conflitto sarà la prima reazione per fare fronte e arginare i vissuti disperanti. Nel corso dello sviluppo e della maturazione psichica fino allâetà adulta sono sempre possibili esperienze correttive e riparative da parte dellâambiente e delle altre figure significative presenti nella vita dellâindividuo.
Nel lavoro clinico con pazienza, lentamente e faticosamente, ci si trova spesso ad aiutare la persona a superare lâimpasse creato da meccanismi difensivi che con il tempo hanno rivelato il loro carattere disfunzionale e che hanno reso difficile se non impossibile costruire legami e relazioni sane e generatrici di beneficio per sé e per gli altri. Gli arroccamenti narcisistici dellâassetto psichico, i vissuti depressivi, la rimozione dei conflitti, la negazione della realtà o lo spostamento sono solo alcuni dei meccanismi con cui la persona cerca di fare fronte alle tracce di esperienze traumatiche mai completamente elaborate e trasformate. Un percorso di analisi non potrà eliminare le esperienze dolorose della vita e tantomeno renderci immuni dal dolore, potrà semmai darci la possibilità di soffrire senza perderci o bloccarci, attivando la capacità di trasformare le esperienze e integrarle in maniera intelligente nella nostra vita.
Unâaltra dimensione da recuperare è quella più sociale dellâesistenza, nel passaggio dallâessere individui, nel senso di unici e separati, al riconoscersi come persone che vivono e agiscono in rapporto ad altre persone. Lâeccesso di individualismo di questa epoca contemporanea corre il rischio di smarrire il senso più umano dei rapporti, il richiamo alla responsabilità collettiva che questi implicano. Possiamo dire che lâindividuo rivendica la propria libertà mentre la persona assume in sé la responsabilità di appartenere ad una comunità . Lâiper-tecnicismo della nostra epoca, la fruizione meccanica e immediata delle rassicuranti certezze tecnologiche o scientifiche, siano queste un acquisto o un servizio medico specialistico, sembra aver ridotto o cancellato lâhumanitas, la dimensione più umana dellâesistenza. La velocità e lâimmediatezza di soluzioni ha relegato ai margini dellâesistenza il valore rassicurante dellâappartenenza, della costanza dei legami; lo stesso rapporto tra generazioni perde significato a fronte della accelerazione iper-tecnicistica che definisce ogni giorno nuovi standard, nuovi rimedi, nuove soluzioni. Una comunità è costruita anche dai patti tra le generazioni, patti che possono ricostruirsi e ridefinirsi come sfondo e risorsa in una dimensione più umana e meno tecnologica dellâesistenza. E nel riconoscersi comunità , nel riscoprire patti e legami sociali, possiamo ritrovare ulteriori anticorpi e funzioni contenitive al sentimento di isolamento e di abbandono, al sentirsi soli di fronte a quella paura ed incertezza che sembra definirsi, più che di perdita e morte, come angoscia del vivere.
(Traccia dell'intervento nell'evento “Abitare l'irrazionale” all'interno della rassegna “Relazioni tra desiderio e identità ” organizzato da DireUomo – APS 28 novembre 2020)
Note bibliografiche
- Freud, S. (1901). Psicopatologia della vita quotidiana.
- Freud, S. (1915-1917). Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti.
- Freud, S. (1919). Il perturbante.
- Jentsch, E. (1906). Circa la psicologia di ciò che è sconosciuto.
- Rybicki, E. (1990). The classification of organisms at the edge of life, or problems with virus systematics.
- Treccani Enciclopedia della Scienza e della Tecnica,(2007). Consultato 26 Ottobre 2020 in https://www.treccani.it/enciclopedia/virus_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica%29/
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